Antonio Canonico – U Trjpitu – trilogia di commedie in dialetto calabrese-Proverbi,modi di dire e na rumanza

35,00

Antonio Canonico ci offre una Trilogia di commedie scritte in dialetto calabrese,rispolverando antiche usanze,costumi,tradizioni e linguaggio.
Il volume è arricchito dalla presenza di proverbi,detti,modi dire e note esplicative e soprattutto da un glossario finale vastissimo e completo a mo di vocabolario dialettale.
la stampa a colori e la veste grafica rendono ancora più preziosa la pubblicazione.Un volume degno di arricchire la biblioteca di quanti amano la cultura calabrese

1 recensione per Antonio Canonico – U Trjpitu – trilogia di commedie in dialetto calabrese-Proverbi,modi di dire e na rumanza

  1. Brenner

    18/09/2023.
    E’ doverosa una mia recensione per questo bel libro scritto dall’amico Tonino, frutto di un lungo e faticoso lavoro. Premetto che non riesco a comprendere del tutto il dialetto calabrese, troppo difficile per una romagnola Doc come me, ma immagino anche che un libro scritto in un dialetto stretto, non contemplasse un pubblico troppo lontano dai confini. Ho letto comunque tutto quello che potevo capire, con interesse. Mi è piaciuto molto l’impaginazione: la grafica, le maiuscole, le minuscole, il grassetto, il corsivo, le pergamene con il calamaio a contenere i proverbi. Mi è piaciuta l’aggiunta delle foto degli attori della commedia, degli attrezzi di cucina, della spiegazione dei vari usi e costumi. Mi è piaciuta, alla fine, la spiegazione dei nomignoli. Amo le storie ambientate nella realtà contadina dei nostri genitori, i cibi tradizionali, i racconti degli anziani. Ci sono molte similitudini fra la vita contadina del sud e quella del nord, soprattutto se parliamo di tempi in cui la miseria regnava sovrana. E anche l’analfabetismo, la rassegnazione ad una vita di grandi sacrifici e duro lavoro, tutta svolta all’interno di una piccola comunità, la consapevolezza che niente sarebbe cambiato, che i propri figli avrebbero avuto la stessa vita di sacrifici e privazioni. Per fortuna non è andata così, ad ogni cambio generazionale sono cambiate un po’ in meglio le cose, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove tutti si lamentano, ma del brodo grasso! Mi piace sentirmi raccontare che una volta, ci si riuniva tutti davanti al fuoco del camino, o nella stalla, per riscaldarsi col tepore degli animali, perché in casa c’erano le pareti con degli spifferi tali, che ci passava in mezzo un braccio. Anche io ricordo alcune cose di quando ero bambina e andavo dai nonni: ricordo il paiolo, che serviva per preparare da mangiare grosse quantità di cibo, oppure per bollire l’acqua che serviva a lavare le lenzuola. Qui da noi non c’erano i fichi a sostentare gli abitanti, ma c’erano le castagne, su per le nostre colline o montagne, e da quelle si ricavava di tutto. Tutto quello che c’è scritto sul maiale e la sua uccisione, combacia perfettamente anche con le nostre consuetudini: del maiale non si butta niente! Piace tanto alla generazione dei nostri genitori: la pancetta, la salsiccia, il salame, i ciccioli, la mortadella, la polenta, e tutti quei piatti tipici della nostra zona. Anche mia nonna preparava il sanguinaccio, e, caso strano, piaceva pure a me, che ero e sono ancora molto schizzinosa col mangiare. Ci sono invece delle abitudini che sono più tipiche del sud: le comari (a noi romagnoli sconosciute), i padrini, le madrine, il malocchio. E’ tutta roba che qui da noi, c’era molto più indietro nel tempo. Invece per quanto riguarda i santuari, anche i miei nonni paterni andavano in bicicletta ai santuari della zona, per chiedere la guarigione di mio nonno, che era ammalato allo stomaco. Anche da noi c’era l’usanza di chiamare i nipoti col nome del nonno, per questo che in ogni famiglia ricorrevano sempre gli stessi nomi. Anche a me piace sentire parlare nel mio dialetto, che capisco bene, anche se poi non sono in grado di parlarlo. Amo le foto in bianco e nero, quelle d’epoca, soprattutto se i soggetti sono miei parenti. Le guardo e cerco di carpire qualcosa nei loro occhi. Ma tornando al libro, anche se è molto lungo e spiegato in modo particolareggiato, lo apprezzo, perché sono anch’io molto pignola. Del libro mi sono piaciute molto un paio di frasi, la prima: che una volta regnava l’ignoranza, l’analfabetismo, il rispetto delle tradizioni, la semplicità, e la morale religiosa. Concordo anch’io con questo pensiero, e se non fosse che c’era così poco da mangiare, avrei quasi preferito quel mondo a quello di oggi. Soprattutto a quello degli ultimi 30 anni, dove non ci si sente tranquilli neanche più nel fare un atto di gentilezza verso il prossimo. Passiamo la vita a diffidare degli altri, sempre per la paura che le nostre buone intenzioni ci si ritorcano contro. Preferivo come andava il mondo quando ero più piccola, quando ci si fidava di più degli altri, ma ormai il mondo è questo, non si torna indietro, il progresso e il benessere hanno portato con sé il risvolto della medaglia.
    La seconda frase che mi è piaciuta è che i genitori di Tonino gli hanno copiosamente elargito ciò di cui erano veramente ricchi: una sana e buona educazione! Ecco, l’educazione, per me è importantissima.
    Quello che mi ha colpito di più del libro, che rispecchia in pieno il carattere di Tonino, è il modo garbato e rispettoso col quale scrive. Racconta tutto con una certa proprietà di linguaggio, con parole forbite, anche complesse (io sono molto più terra terra), ed è tutto molto scorrevole e piacevole. Gli consiglio vivamente di continuare a scrivere, perché è una cosa che gli riesce davvero molto bene!
    Monica Turrini

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